Cara Redazione
Vi scrivo questa lettera per parlare di un gruppo di persone che nel football italiano ormai sta prendendo sempre più piede, nonostante se ne parli poco, le fidanzate dei giocatori nonché loro tifose.
Ebbene sì, ci siamo anche noi, ragazze e donne di ogni età che accompagniamo i nostri “piccoli” amati durante tutte le partite, o quasi. Perché vi dirò che la vita da compagne di giocatori non è per niente scontata e merita di essere raccontata.
I giorni prima delle partite condividiamo l’ansia insieme a loro, impariamo gli schemi per poterli interrogare e vedere se hanno studiato bene, molto spesso non sappiamo cosa stiamo leggendo ma comunque li impariamo talmente bene che durante le partite commentiamo sugli spalti quali azioni verranno eseguite.
Arriviamo al giorno della partita che viviamo con molta ansia, ci prepariamo come se dovessimo entrare in campo insieme a loro, ci vestiamo di tutto punto con le maglie della squadra, molte di noi corrono al supermercato per comprare le caramelle da dare all’half time per supportare i nostri “guerrieri”, e ovviamente ricordiamo ai nostri amori di prendersi tutto perché è certo che qualcosa si dimentichino.
Poi si esce da casa e si chiamano le altre ragazze per organizzare il posto a sedere e a che ora arrivare, oltre che alle solite domande da donne su che tempo farà, un classico, e via pronte ad arrivare al campo rigorosamente ore prima che inizi la partita per aiutare le mamme dei giocatori a preparare le tribune scherzando sul fatto che ormai passiamo più tempo con loro che con i nostri famigliari e per scambiare due chiacchere con gli altri ragazzi della squadra che ormai conosciamo come fratelli. Inizia la partita e siamo tutte pronte sugli spalti a fare i video dei nostri amati che entrano in campo e lì iniziano a salirci i battiti del cuore, un po’ per l’amore nei loro confronti un po’ per l’adrenalina di una partita, che indirettamente, stiamo giocando anche noi.
Kickoff e si parte, occhi sulla palla con il fiato sospeso e poi la palla che viene presa e noi che ci alziamo ad urlare il nome del giocatore come se servisse a renderlo più veloce, un susseguirsi di azioni che scrutiamo con occhio attento a volte senza capire molto cosa capita in campo, ma comunque super concentrate sull’obiettivo.
Siamo lì fidanzate, mogli, mamme, nonne che intoniamo cori ultras al ritmo di “DEFENSE GO, DEFENSE GO” fino a renderci afone, siamo proprio quelle voci acute che si sentono nelle dirette, quelle persone che fischiano e urlano dando quasi fastidio ai commentatori. Poi una fugace occhiata dei nostri morosi che dalla side line ci cercano sulle tribune e noi subito pronte a salutarli e a mettere in imbarazzo alcuni di loro imitando cuori con le mani o mandando baci che vengono vergognosamente ricambiati.
Un attimo e siamo all’half time dove ci precipitiamo più o meno velocemente (causa tacchi) all’uscita del campo per portare caramelle o anche solo un sorriso per confortarli, un modo per dire: “Siamo qua con voi, rendeteci orgogliose”, birretta al volo che ci serve per recuperare la voce e si ritorna sugli spalti più cariche di prima. Ripartono i cori, ci si incazza per gli sbagli commessi, si applaude per un TD, ci si arrabbia con gli avversari per i falli subiti, alcune di noi hanno le lacrime agli occhi quando stiamo perdendo o vincendo, altre si voltano per non guardare le azioni, altre ancora si appoggiano alla ringhiera che sembrano pronte ad entrare in campo.
Ultimi due minuti, ci siamo, la tensione è palpabile tra il pubblico, siamo tutti tesi, ci stringiamo le mani tra di noi come per darci forza per quei minuti interminabili che confermano o ribaltano il risultato, ultime azioni, ultimi colpi di casco e infine triplice fischio.
Due soli finali, sconfitta o vittoria, nel primo caso incassiamo il colpo, le lacrime salgono agli occhi, ci sfoghiamo tra di noi per questa delusione che sentiamo come nostra, e sappiamo che per qualche giorno ci sarà depressione in casa; nel secondo caso.. beh che dire, esplodiamo di felicità, iniziamo a saltare ad abbracciarci tutti, fischi e urla da spaccare i timpani, sul volto di tutti una gioia indescrivibile, un’unica famiglia felice orgogliosa dei propri ragazzi che ci emozionano come solo loro sanno fare, tenendoci sulle spine fino all’ultimo.
Ancora trepidanti scendiamo in campo e cerchiamo tra la folla i nostri grandi omoni che da “violenti giocatori” si trasformano in “pasticcini” per noi fidanzate, e quando li troviamo li abbracciamo e li baciamo, sopportando quel terribile odore acre di sudore e fango al quale purtroppo ci siamo abituate, ancora entusiaste della partita, guardando negli occhi vittoriosi i nostri adorati che tanto amiamo.
La vita di noi dolci metà di giocatori di football non è facile, rinunciamo a molto per loro, sapendo che dovremo condividere il loro cuore con questo sport, che col tempo abbiamo imparato ad apprezzare, consapevoli che senza il gioco della palla ovale non sarebbero loro, perché quando giocano si illuminano; c’è un qualcosa di magico, se così posso dirlo, dietro questo sport, un qualcosa che da a loro quel pizzico di pepe che li rende vivi e si vede, si vede dal modo in cui si impegnano, dal modo in cui rinunciano, dal modo in cui semplicemente lottano ad ogni partita.
Una cosa che non si può spiegare ma che si può sentire, un senso di appartenenza, di importanza, una famiglia. Vederli felici e orgogliosi di quello che fanno e di quello che sono, ci fa ancora più innamorare di loro e di questo sport che, personalmente, mi auguro venga scoperto da sempre più persone, e che queste possano vivere col fiato sospeso, come noi fidanzate che dagli spalti lottiamo insieme ai nostri compagni. Sempre.