Austria Felix è un’espressione che ho sentito la prima volta molti anni fa, applicata al contesto politico del paese alpino, lontano anni luce dalla teatralità e dal bizantinismo cui siamo abituati dalle nostre parti.
In realtà la formula venne usata per la prima volta nel XIX secolo e voleva descrivere il “miracolo” dell’Impero Austro-Ungarico, capace di garantire la coesistenza pacifica di popoli di lingua e religione diverse tra loro.
Poco importa che qualche anno dopo la tendenza si inverta e, sotto la spinta dei nascenti nazionalismi, l’Austria divenga “infelix” è l’Impero inizi il conto alla rovescia verso la sua fine, sancita dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale.
L’espressione trova nuove applicazioni ancora oggi.
E come altro potremmo definire, se non “Felix” il contesto footballistico di questa piccola gemma alpina?
I numeri sono sotto gli occhi di tutti: 10 milioni di abitanti, grosso modo come la Lombardia, un movimento diviso in cinque livelli, 40 squadre tackle (per capirci, sarebbe come se in Italia ne avessimo 240), due club che dominano il panorama europeo da un ventennio, una nazionale vice campione d’Europa in carica, una capacità organizzativa notevole e un livello di popolarità non comune nel contesto europeo che ha portato la AFBO, la federazione austriaca, a ospitare due competizioni internazionali, Mondiali 2011 e Europei 2014, che al momento, rimangono i tornei di football internazionale più riusciti che abbia mai visto.
Eppure mi torna alla memoria un articolo uscito sulla rivista Superbowl, diretta da Guido Bagatta, di oltre 35 anni fa, in cui, con un po’ di arroganza, si descriveva il movimento austriaco con poca gentilezza, la frase iniziale, se non ricordo male era una cosa del tipo: “Sembra incredibile, ma in Austria, invece che migliorare col tempo, il football peggiora”.
E del resto l’Austria, a metà anni ’80, era davvero il fanalino di coda dell’Europa del football e ci vorranno non meno di una ventina di anni per invertire la tendenza.
Che cosa è successo in questi decenni? Che cosa ha portato il movimento austriaco, nazionale e club a passare da cenerentola a regina?
Per provare a dare una risposta tocca mettere in fila i fatti.
Il football americano arriva in Austria negli anni settanta, quando un professore di liceo, di ritorno da un viaggio negli USA decide di fondare la prima squadra di football americano austriaca a Vienna, col nome di First Austrian Football Team. Siamo nel 1978 e, come sempre, gli inizi sono molto lenti.
Il FAFT di Vienna non dura molto, ma prima di scomparire gioca un paio di partite contro avversari tedeschi e, soprattutto, attrae l’interesse di Thomas Aichmair.
Thomas Aichmair è quella figura che troviamo spesso in queste storie del football delle origini, il visionario intraprendente che funge da catalizzatore del movimento. Aichmair infatti fonda il primo vero club strutturato, i Vienna Ramblocks, siamo nel 1981. Di lì a poco nascono i Graz Giants e nel 1982 si disputa la prima partita tra squadre austriache, Vienna batte Graz 44-0.
Una nazionale austriaca inesperta e misteriosa partecipa agli europei del 1983, ma il risultato è disastroso, sepolta viva dai TD di Francia e, soprattutto, Italia, gli azzurri infatti vincono 87-0, in quello che rimane il miglior risultato di sempre del Blue Team.
Aichmair deve avere un bel caratterino, perché a Castelgiorgio qualcosa non gli va a genio per cui molla i Ramblocks e fonda i Vienna Vikings.
Nel 1983 si tiene il primo campionato (a 3 squadre vinto dai Salzburg Lions), ma nel 1984 la stagione viene posticipata al… 1985.
Insomma il football austriaco è piccolo e ancora confuso e fatica a trovare la propria stabilità e qualità.
Il primo vero passo in avanti si ha a inizio anni’90 con il riconoscimento dell’AFBO da parte del comitato olimpico austriaco e la fondazione dei campionati giovanili ed è l’inizio della rinascita.
Nel 1992 vengono fondati i Tirol Raiders, nel 1995 l’Austria ospita i campionati europei e la nazionale conquista la medaglia di bronzo.
Il XX secolo sta finendo e in Europa il vento del football sta girando. Italia e Gran Bretagna perdono velocemente la loro leadership, il movimento olandese e quello spagnolo vengono di fatto fagocitati dalla NFLE, la Germania fa storia a sé e iniziano ad emergere nuove potenze come la Svezia o la Francia, ma, almeno a livello di nazionale, non è ancora il momento dell’Austria, diverso, invece, il discorso a livello di Club.
Gli anni 2000 segneranno la definitiva svolta. Nelle competizioni europee i club austriaci, o meglio Vikings, Raiders e Giants, iniziano a mietere successi, tanto in Eurobowl, quanto in Efaf-Cup, con Vienna che dà vita a una vera e propria dinastia. A catena il successo si trasferisce a livello di nazionale e i biancorossi a partire dal 2009 inanellano una serie incredibile di successi che li porterà a due argenti e un bronzo europeo e alla partecipazione ai mondiali del 2011, come nazione ospitante.
Il successo di pubblico e organizzativo è a dir poco clamoroso. Ventimila spettatori alla finale dei mondiali 2011 e quasi trentamila a quella degli europei del 2014, entrambe disputate all’Ernst Happel Stadion di Vienna, per gli amici, il Prater.
La piccola Austria, dieci milioni di abitanti, poche migliaia di tesserati, è una vera e propria fucina di talenti, Gross, Walch, Grein, Dieplinger, Ponce de Leòn. Certo, dei 45 a roster nei mondiali 2011, 40 vengono da sole 3 squadre, le solite Vienna, Innsbruck e Graz, ma il football austriaco è nell’elite d’Europa e può dare del tu alle nazionali più forti del mondo, in termini statistici è un vero e proprio miracolo.
Eppure, in tutta questa storia, manca il Coup de Theatre. Nessun grande condottiero, nessuna condizione eccezionale, nessun evento decisivo possono spiegare perché l’Austria del football sia così Felix.
Non sfugge che il cambiamento di passo sia avvenuto quando il football austriaco si è istituzionalizzato, entrando nel circuito dello sport ufficiale e ha iniziato a investire sui giovani. L’organizzazione e la serietà mitteleuropee hanno fatto il resto.
Certo oggi ci sono grandi sponsor dietro ai principali team, Raffheisen, Swarco o Chrysler e Dacia in passato, ma questa è una conseguenza, non una causa del successo del football austriaco.
Qualcuno potrebbe obiettare che il contesto sportivo austriaco sia poco affollato e per questo ci sia più spazio per il football che altrove (il Rugby, per dirne una, si ferma a una ventina di club e meno di duemila tesserati), ma il calcio a Vienna è religione come nel resto del mondo e poi ci sono gli sport invernali e l’Hockey su Ghiaccio.
No, evidentemente, come detto sopra, è una questione di visione, serietà ed organizzazione, elementi di cui i nostri vicini transalpini sembrano non difettare.
Che possano essere di ispirazione.