C’è una squadra famosa a Dallas, il cui nickname è “Cowboys”, ma non sono i Dallas Cowboys. Più che famosa, addirittura famigerata. Per chi ha visto “Friday Night Lights” (non ci sono spoiler) la Dallas Carter e i suoi Cowboys sono quelli in maglia rossa che in finale picchiano selvaggiamente per tutto il primo tempo i Panthers, protagonisti del film, solo che in realtà non era una finale, ma una semifinale, e i Cowboys non giocarono affatto fregandosene delle regole, ma se sono dipinti come mezzi delinquenti un motivo c’è.
Ma come ha fatto la squadra probabilmente più forte di sempre delle highschools americane a finire dal lato sbagliato della narrativa?
Dal principio.
Visto da qui il campionato di football americano più importante al mondo è senza dubbio la NFL, vetrina di talento ed atletismo eccelso. Non così per gli americani che fanno il tifo molto più per una squadra di College che per i professionisti, beh, se si eccettuano i texani. In Texas il campionato più importante è senza dubbio il campionato statale delle Highschools con grade 5A, dove vige la regola scritta “se non passi (gli esami) non giochi”.
La David W. Carter Highschool si trova ad Oak Cliff, una zona “bene” di Dallas abitata dalla comunità nera “che ce l’ha fatta” e come prima conseguenza la squadra di football della scuola ha solo atleti di colore il che, in Texas negli anni 80, non la rende simpatica all’establishment del campionato. All’inizio del 1988 il team della Carter sembra invincibile ma una telefonata anonima richiede alla commissione di “sistemare” il voto di una studentessa “come è stato fatto per quel giocatore di football”.
La telefonata diventa di dominio pubblico e le squadre che devono affrontare la Carter iniziano ad avanzare sospetti che costringono l’agenzia didattica del Texas ad aprire un procedimento legale per verificare la storia dietro ai voti di Gary Edwards.
Viene fuori che il metodo del professore di Algebra per tenere conto dei voti è confusionario e non interpretabile e l’agenzia decide quindi di sospendere la Carter dal campionato, ma la cosa scatena l’ira della comunità di Oak Cliff che protesta con veemenza e comincia a seguire la squadra nei tribunali per forzare la decisione di lasciar giocare la squadra sub iudice. Ci riescono, la Carter affronta la Lufkin nel turno regionale e vince 31-7, avanza ai quarti di finale ma un giorno prima della partita la legge blocca di nuovo il programma della Carter e l’unico modo per lasciare che la squadra giochi è che il professore di algebra chiarisca il suo metodo di attribuzione dei voti. Sotto la pressione del nuovo dirigente scolastico, e di malavoglia, il professore acconsente e i voti chiariscono che Gary Edwards ha passato l’esame e alla Carter viene permesso di giocare il quarto di finale contro la Marshall del distretto Amarillo che ha in un ricevitore una specie di mostro inarrestabile, tal Odell Beckham che sarebbe diventato senior qualche anno dopo.
Ma i Cowboys sono troppo forti, pur partendo male, forse intontiti dalle montagne russe del gioco-non gioco, nel secondo tempo stabiliscono la loro legge e con una segnatura a tempo scaduto di Jessie Armsted, futuro pro bowler in NFL, che da LB fu schierato in attacco esclusivamente per prendere il pallone lanciato dal suo QB Robert Hall in una azione che l’head coach Freddie James avrebbe poi raccontato così:
“Non avevamo nessuna speranza che Jessie prendesse quel pallone e probabilmente anche loro pensarono la stessa cosa, così lo lasciarono solo, lui se ne accorse e Robert gli lanció il pallone perché se non lo avesse fatto e avessimo perso Jessie lo avrebbe ucciso”.
Ma se pensate che la semifinale potesse essere preparata serenamente siete in errore perché in qualche modo le squadre rimaste riescono a bloccare legalmente le operazioni del team, ma l’hype creato dalle vittorie scatena la rabbia dei fan della scuola di Dallas che costringono il commissioner a determinare una volta per tutta la partecipazione al campionato.
Si arriva così alla semifinale contro i Panthers Permian di Odessa, la partita raccontata in Friday Night Lights, semifinale e non finale del campionato statale, come descritto nel romanzo divenuto poi film e telefilm. Racconto che ha lasciato l’amaro in bocca ai giocatori della Carter che non si rivedono nel football sporco e falloso della squadra sul grande schermo. Infatti la Carter vince 14 a 9 in una partita tesa e avvincente, ma senza colpi proibiti, o almeno non così proibiti.
La finale è contro una delle squadre più titolate del Texas, quella Judson che arriva dal distretto di Converse, che però nulla può di fronte allo strapotere dei Cowboys che si impongono 31 a 14 e vincono per la città di Dallas il primo titolo da 35 anni a quella parte.
Titolo che verrà ritirato e non assegnato, perché alcuni dei 21 giocatori su 60 del roster ricevettero la borsa di studio per andare al college decisero, in un delirio di soldi e dadi, di mettersi a fare rapine a mano armata a volto scoperto per quella sensazione di potere eccessivo per dei diciottenni, e di totale impunibilità data loro dalla benevolenza dovuta alla vittoria del titolo.
Quando furono beccati dalla polizia venne fuori lo scandalo e oltre alla cancellazione del nome della Carter dall’albo d’oro vennero comminate pene dai 4 ai 16 e ai 20 anni di prigione. La gloria della Carter duró poco e all’improvviso la scuola si ritrovó da lato sbagliato della storia.
Sulla storia dei Cowboys il celebre programma ESPN “30 FOR 30” ha dedicato una puntata dal titolo “What Carter Lost”.