Nei sogni dei bambini ci sono le grandi imprese sportive dei loro idoli, e ognuno di noi ha sognato grandi azioni, gesti atletici, momenti topici ed esaltazioni da vittorie. Ricordo che durante i Mondiali di Calcio di Corea girava una pubblicità con Francesco Totti che nel giocare dietro casa fingeva di essere un suo compagno di squadra (mi pare Vieri) e ne ripeteva il nome come fosse un telecronista. Ecco, chi non ha mai fatto una cosa del genere? Io lo facevo, negli anni ’80, a volte ero Zico, Platini, altre ero Magic Johnson e qualche volta ero Marcus Allen. Vivevo in campagna, non avevo nessuno intorno, giocavo da solo.
E ricordo che per il sogno di essere un giorno il vero protagonista di quelle telecronache avrei fatto di tutto, avrei voluto impegnarmi allo spasimo per avere una occasione.
Ma quello che ha fatto Brian Banks per giocare solo quattro partite in NFL va oltre qualsiasi idea di impegno noi possiamo avere, oltre qualsiasi idea di fatica, sacrificio, lotta e dolore chiunque possa mai avere.
E noi, sognatori, sappiamo bene quanto anche solo una partita in NFL sarebbe un giusto premio, una incredibile soddisfazione, di tanta dedizione. Figuriamoci quattro.
La storia comincia quando Brian ha 16 anni e gioca middle linebacker per il Poly (Polytechnic high school) in California, ed ha ricevuto una borsa di studio da USC per giocare nei Trojans dall’anno successivo, dopo un colloquio con l’allenatore capo del programma di football. Tal Pete Carroll.
La NFL sembrava un destino scritto, ma il destino aveva altre idee e si materializza come una squadra di poliziotti che vanno a prelevarlo a casa per una accusa di stupro della quindicenne Kenisha Rice.
L’incompetenza del suo legale lo porta ad accettare un patteggiamento che avrebbe dovuto tenerlo in galera per soli tre mesi, ed invece il giudice decide per 6 anni di carcere e 5 di libertà vigilata. Una mazzata incredibile, gli anni in gattabuia sono più di quelli che avrebbe fatto all’università, ma una volta fuori, con un po’ di benevolenza da parte dell’agente di custodia avrebbe potuto ricominciare a giocare a football.
Brian si aggrappa al suo sogno, si mantiene allenato ma la sua condizione di “criminale sessuale” non gli permette di rimettersi in gioco e così l’unica scelta che ha é dimostrare la sua innocenza e vedere il suo nome riabilitato. Ad aiutarlo in questo percorso, contro ogni logica legale visto che dieci anni prima Brian aveva patteggiato, ci pensa il CIP, California Innocence Project, organizzazione che si prefigge di aiutare persone accusate ingiustamente di crimini che non hanno commesso.
La persona che lo guida in questo percorso è Brian Brooks, avvocato fondatore del CIP che ad un certo punto mette le mani su un video in cui la signorina Rice ammette di non essere mai stata stuprata da Banks. Questo porta lo stesso giudice che aveva emesso la prima sentenza a ribaltarla e a liberare definitivamente Brian e permettergli a 27 anni di far rivivere il suo sogno.
Il primo a chiamarlo è quel Pete Carroll che adesso allena i Seattle Seahawks, Brian ci prova ma 11 anni di mancanza dei campi si fanno sentire e non passa il taglio.
Dopo una stagione ai Las Vegas Locomotives, della compianta United Football League, nella preseason della stagione 2013 viene chiamato dagli Atlanta Falcons diventando uno dei più anziani rookies della storia della NFL.
Nei Falcons Brian Banks gioca quattro partite, che sono quattro in più di quanto sarebbe stato mai auspicabile da quel ragazzo che accusato ingiustamente di stupro si era ritrovato dietro le sbarre.
Vi ho spoilerato il finale, ma la storia di Brian Banks è appena uscita in un film su Netflix di cui vi agevolo il trailer.