Un giovane giardiniere persiano dice al suo principe: “Salvami! Ho incontrato la Morte stamattina. Mi ha fatto un gesto di minaccia. Stanotte, per miracolo, vorrei essere a Isfahan”. Il buon principe gli presta i suoi cavalli. Nel pomeriggio, il principe incontra la Morte e le chiede: “Perché stamattina hai fatto un gesto di minaccia al nostro giardiniere?” “Non era un gesto di minaccia, ma un gesto di sorpresa. Perché stamattina lo vedevo lontano da Isfahan, e a Isfahan lo devo prendere stanotte.
(Storiella mediorientale sull’ineluttabilità del proprio destino)
Devo ammettere che la nascita della European League of Football mi ha trovato molto freddo, non essendo mai stato un grande sostenitore delle leghe private. Dagli anni settanta ad oggi ci hanno provato in tanti. I pochi che sono riusciti a mettere in campo delle squadre, non sembrano aver apportato nulla di particolare in termini di visibilità, pubblico e diffusione del football in Europa.
La domanda viene spontanea, se non ci è riuscita la NFL, chi altri dovrebbe farcela?
Non sarebbe meglio concentrarsi sul football di base, invece di inseguire sogni di professionismo?
Non voglio passare per pessimista, cerco di essere oggettivo.
Se poi l’annuncio arriva in un momento come questo, e alla base c’è la volontà di espandersi e proliferare, il dubbio è lecito, ma mi piace tenere la mente aperta.
Il football europeo è già molto dinamico di suo, forse troppo, ma il periodo storico, come tutti quelli di rottura, si preannuncia molto movimentato.
Nemmeno il tempo di pensarci troppo e gli eventi si sono messi a correre. Dapprima una serie di cambi tra le franchigie della lega, sembrava l’inizio del solito copione fatto di false partenze, poi il vero coup de theatre: vengono recuperati i nomi di alcuni team della NFL Europe, ai già presenti Sea Devils di Amburgo e Galaxy Francoforte si aggiungono Berlin Thunder, Cologne Centurions e… Barcelona Dragons.
Boom.
Quindi i Barcelona Gladiators di Bart Iaccarino, uno dei team fondatori della Lega, diventano Barcelona Dragons.
Ri-boom.
Questo cambia di molto le cose, si recupera un nome storico con tutto il suo carico di suggestioni, dimostrando un’attenzione ai dettagli che condivido, ma che non mi aspettavo da dei “manager” del football.
Guardo il video promozionale del “Ritorno dei Dragons” e a seguire la conferenza stampa di Bart e Carlos Alonso, caro amico e vecchia conoscenza ai tempi dei Pioners L’Hospitalet, li ascolto parlare sotto il logo di un Dragone che sembra un po’ una controfigura di quello anni ’90.
Conviene fermarsi un attimo e rimettere in fila i fatti.
Se la ELF usa i nomi della NFL Europe, significa che oltre a un contatto diretto, c’è anche una credibilità. La NFL non mi sembra quel tipo di azienda che prende alla leggera una collaborazione, fosse anche solo per cedere dei diritti su dei nomi.
Il progetto ELF si presenta con un asso nella manica, ma non basta, mi dico, e il football nazionale? Fatichiamo ad avere unità e continuità a livello continentale, una lega internazionale che ricadute potrebbe avere? E se le squadre della ELF cannibalizzassero i team locali?
In conferenza stampa si dice chiaramente che il progetto Dragons vuole essere utile al football locale e non in competizione.
Si, ma come?
Ce n’è abbastanza per chiedere a Bart di sentirci per approfondire. Niente di più facile, è una persona disponibile e precisa, appuntamento fissato per venerdì, alle dieci della mañana.
Il suo faccione sorridente appare sullo schermo illuminato dalla luce del Mediterraneonella sua casa di Reus nel Baix Camp, dove vive con la moglie e due figli, casa e football.
“Si ma devo bilanciarli bene, se no mi cacciano (ride), la scelta dell’orario è dovuta anche a questo, dopo alcune settimane un po’ piene, oggi dedico la giornata a loro”.
E’ così a suo agio nel contesto che, sapendo che è un coach di football americano, penseresti, tra accento e aspetto, che sia messicano.
Lo conosco da quasi venti anni e lo ammiro perché già molti anni fa disse chiaramente di voler fare del football la sua vita e ce l’ha fatta. Sembrava una cosa interessante allora, anche condivisibile, ma abbastanza fuori dal mondo. Io e lui apparteniamo alla “Generazione Perduta” del football, i nati tra fine anni settanta e primi anni ottanta. Quando eravamo in età junior il football in Italia era ai minimi storici: poche squadre, campionati giovanili ridotti all’osso, attività della nazionale rarefatta, pochissima informazione. Parliamo del secolo scorso, seriamente. Il medioevo del football americano italiano.
Si può dire che Bart sia un visionario e la sua storia lo dimostra: è partito da Sorrento ed è arrivato ai Barcelona Dragons, di cui oggi è General Manager e CEO.
Nel mezzo ha fatto letteralmente di tutto, dall’e-commerce di attrezzatura al Consigliere Federale, ha giocato nei Berlin Adler, è stato campione di Spagna, ha vestito la maglia azzurra e creato un team interazionale, gli European Warriors con tre sezioni, senior, junior e femminile.
Come coach ha portato gli Imperials di Reus dalla mezza classifica in serie C alla finale di serie A in cinque anni “Lavoro per visioni, mi piace pianificare e darmi degli obiettivi, con il presidente ci eravamo proposti di arrivare in Europa in cinque anni…tecnicamente come vice campioni di Spagna ne avremmo avuto diritto l’anno successivo” .
Attualmente, oltre a curare il progetto Dragons, ricopre la carica di General Manager nei Pioners L’hospitalet, nobilissimo team del football spagnolo, che da anni ha perso il suo smalto “il team ha attraversato dei momenti complessi, stiamo ricostruendo, tuttavia dopo due anni di crescita, con tutte le incognite esistenti, abbiamo preferito fare un passo indietro per questa stagione e scendere in serie B, un po’ a malincuore, ma la scelta è stata ragionata”.
Mi chiedo se ci sia stato un momento in cui, da “ragazzo del secolo scorso”, i Dragons siano in qualche modo apparsi nella sua vita, come una bizzarra anticipazione del destino “intorno al 2000, 2001, i Dragons facevano dei try out e Coach Longhi organizzava il viaggio, ricordo che c’erano Mario Alba dei Lions e altri, ma per me si trattava di un viaggio impossibile, da Sorrento a Napoli con la corriera, poi fino a Bologna in treno per prendere il furgone fino a Barcellona…avevo vent’anni, rinunciai”.
Ma la maglia dei Dragons Bart la indosserà lo stesso, a Reus, quando si trasferisce agli Imperials nel 2003.
Il presidente del team aveva comprato uno stock di maglie usate del team NFLE che nel frattempo aveva chiuso i battenti “del resto i colori erano gli stessi” aggiunge Bart ridendo, i dettagli sono importanti.
A dire il vero non è finita, ”l’idea di rifondare i Barcelona Dragons l’avevamo già nel 2015, insieme a Tony Monza” (ex qb di Rhinos, Falcons e Gladiatori NDR) “ci eravamo informati per capire se era possibile recuperare nome e logo dei Barcelona Dragons” ma non se ne fece nulla “l’altro giorno mi è anche ricomparso il Business Plan sul pc, forse è vero, era destino”.
Veniamo al presente e ai nuovi Dragons ed è lui stesso a mettere subito in chiaro le cose: “voglio far crescere il football locale, voglio che i Dragons siano un traino per il football spagnolo”, va bene, bello e giusto, ma come? “innanzitutto la nostra stagione non si sovrappone a quella del campionato spagnolo e ho buone ragioni per pensare che in futuro si possa collaborare in tal senso” questo perché spiega Bart, l’obiettivo è di mantenere buone relazioni con il movimento locale, Il team e la lega non sono pensati per i soli americani, al contrario “a roster avremo quaranta spagnoli quattro americani e dieci europei, che nei prossimi anni vorremmo ridurre fino a un massimo di quattro, i ragazzi saranno dei semipro, niente di eccessivo, ma potranno dedicarsi al football a tempo pieno” inoltre è previsto un programma di shadow coaching per allenatori spagnoli “quindici di loro potranno seguire la stagione a fianco del nostro coaching staff, guidato da un mostro sacro come Adam Rita”.
Tanta carne al fuoco per Bart che intanto deve terminare la stagione con i Pioners, poi, subito dopo, il kick off della ELF “iniziamo il 19 Giugno e finiamo il 5 Settembre, speriamo di poter avere del pubblico alle partite” anche perché buona parte del progetto, economicamente parlando, si fonda su quello “abbiamo la fortuna di disporre dello stadio di Reus praticamente in esclusiva, la società di calcio è fallita e al momento non lo usa nessuno, è un impianto nuovo, dotato di tutto, palestra, campi d’allenamento, sala massaggi, sale video, ha capacità per quattromila spettatori, la media che facevano gli ultimi Dragons della NFLE era di seimila spettatori, se noi riusciremo a farne la metà, sarò contento” nessuna idea di tornare a giocare a Barcellona? “per il momento no, vediamo poi come evolverà la situazione, però bisogna considerare una cosa, noi dobbiamo giocare su erba naturale, per poter tracciare il campo al meglio e a Barcelona impianti adeguati non ce ne sono, lo stadio Olimpico ha la pista di atletica e noi vogliamo uno stadio per il football, certo ci sarebbe il Camp Nou…”, ecco che riemerge il visionario.
Penso che sia un peccato che un cervello come il suo sia in fuga, non ci sono possibilità di rivederlo in Italia? “non dico di no, ma sia chiaro, a me non interessano né il protagonismo né il denaro, mi interessa la progettualità, sapere di poter lavorare a lungo termine, come con gli Imperials, a Roma avevamo iniziato…ma in generale non sento il bisogno, per certi versi qui in Spagna siamo anni avanti all’Italia”.
Come ti capisco Bart, sono innamorato della Spagna, ma in Italia vediamo sempre con sufficienza ciò che accade oltre i Pirenei. Il tempo stringe, la famiglia chiama, ci salutiamo e io ho una certezza, mi manca il football dal vivo, mi manca viaggiare e mi manca la Spagna, sospendo ogni giudizio sulla ELF, da oggi sono un simpatizzante dei Dragons e non vedo l’ora di poterli vedere dal vivo.
iHasta la vista, Bart!